Con l’attuale ristrutturazione del “Casello della Commenda”, dopo oltre 70 anni ritorna alla luce un pezzo importante della storia di questo paese, Calerno. Come attestano le fonti storiche già nel 1107, epoca di grande civiltà nelle campagne, l’hospitale con la Cappella dedicata a San Lorenzo, il mulino dei Sanvitale, il castello, le case dei contadini e degli artigiani costituivano il vero centro di Calerno; mentre verso ovest sorgeva la Duchessa con la chiesa di Santa Margherita.
Nel Medioevo la parola “hospitale” aveva una duplice valenza: luogo di cura per i pellegrini o viandanti che si ammalavano durante i viaggi, oppure inteso luogo di ospitalità per i viaggiatori che qui potevano riposare, sfamare, trascorrere la notte.
In tale contesto storico e geografico, la nascita dei caselli rappresenta il primo importante processo d’industrializzazione nella produzione del Parmigiano Reggiano e il casello della Commenda è, a tutt’oggi, la rappresentazione più antica, finora conosciuta, di un casello del formaggio [1].
Con il risanamento conservativo, oggi, il “Casello della Commenda” è stato strappato ai rovi e all’edera che se n’erano impadroniti, sono state curati e ripristinati gli squarci che si erano aperti nelle gelosie, si è ridato forza alle travi di rovere, annerite dal fumo dell’antica fornacella dove veniva cotto il formaggio.
Un lavoro paziente che ha interessato ogni angolo e particolare della struttura architettonica. Mano a mano che l’opera di ricostruzione procedeva ci ha lasciato immaginare tratti di vita di un tempo, di chi ha vissuto qui: il muggito delle mucche, il sapore del latte appena munto con il suo profumo inconfondibile, le voci del casaro che richiamava i garzoni al loro dovere.
Attorno, il vociare dei bambini, il rumore sordo della zangola che trasformava la panna in burro e, soprattutto, la voce di mia nonna Ida che, a braccia nude, estraeva dalle caldaie la massa del latte cagliato avvolto nelle garze, pronto per essere messo nelle fascere. Con inequivocabili cenni e il suo timbro di voce perentorio e inconfondibile, nonna Ida reclamava “acqua sulle braccia” dando sollievo alla sua pelle riarsa dalle quotidiane cotture.
Ogni giorno, oggi come allora, nasceva una nuova forma, testimone di una cultura millenaria, tramandata dal monaco al converso (laico che pur vestendo un abito da frate non formulava i voti religiosi), da padre in figlio.
Un formaggio che ha fatto ricca la nostra terra le cui radici affondano nell’inconfondibile sapore che tutto il mondo apprezza e ci invidia.
Giampaolo Ferretti
[1] La datazione la si ritrova nel cabreo “Mattioli” che testimonia la rappresentazione più antica, finora conosciuta, di un casello del formaggio.